Tubi di Geissler

I tubi di Geissler vennero realizzati nel 1857 dal soffiatore tedesco Johan Heinrich W. Geissler (1815 – 1875) il quale, dopo aver migliorato la pompa pneumatica per ottenere un vuoto più spinto, riuscì a produrre scariche luminose di forte intensità e di colorazione diversa in gas rarefatti.
Questi sono dei tubi di vetro che possono avere svariate forme: generalmente sono costituiti da ampolle, ma spesso hanno forme complesse con avvolgimenti ad elica, a spirale, a ficco e piegature a zig-zag. All’interno del tubo è presente un gas rarefatto avente una pressione molto inferiore rispetto a quella dell’ambiente (tipicamente qualche mm di mercurio). Alle estremità i tubi sono muniti di elettrodi metallici saldati con smalto o vetro alla parete del tubo.

Il funzionamento di questo tipo di tubo si basa sulla ionizzazione di un gas facendo passare una corrente elettrica (se la corrente che fluisce nella scarica è molto elevata è anche noto come scarica elettrica o arco elettrico). Infatti, un gas neutro è dielettrico, ma se sottoposto ad un campo elettrico sufficientemente elevato si può ionizzare e pertanto diventare conduttore. In particolare, il processo di ionizzazione del gas è provocato, per mezzo di un campo elettrico, dall’accelerazione degli elettroni liberi del gas e dalla loro successiva collisione con gli altri atomi del gas in una sorta di effetto a valanga che crea il passaggio della corrente e un’intensa emissione luminosa.
Collegando gli elettrodi del tubo ai poli di un rocchetto di Ruhmkorff, di una macchina elettrostatica, o anche nelle vicinanze di forti campi elettrici (esperienza di Tesla), si possono osservare sulle pareti diversi colori a seconda del particolare gas contenuto nel tubo: rosso nel caso dell’idrogeno, verdastro per l’acido carbonico, giallo-rosso per l’azoto, ecc..

Luci elettriche nei gas rarefatti, 1) corone luminose stratificate in vapori di alcool, 2) fosforescenza del solfuro di calcio, 3) luce stratificata in un tubo di Geissler, 4) fluorescenza di un vetro all’uranio, 5) fosforescenza del solfuro di stronzio, 6) fluorescenza di un vetro all’uranio e di solfato di chinina.

Un analisi attenta dell’emissione evidenzia attorno al polo positivo (anodo) un fascio di luce che riempie il tubo, mentre il polo negativo (catodo) è circondato da un involucro luminoso di color lavanda; tra i due poli si estende uno spazio oscuro chiamato di Faraday. Al crescere della rarefazione (non si deve comunque scendere a pressioni inferiori al mm di Hg), cresce lo spazio luminoso attorno al catodo, mentre quello attorno all’anodo si va restringendo e il fuso di luce (rossa nel caso dell’aria) diventa spesso stratificato. Riempiendo i tubi con gas diversi, si possono ottenere corrispondenti colorazioni tipiche del gas stesso nella zona positiva dell’anodo. La luminosità positiva è più viva in corrispondenza delle sezioni minori.

Particolari effetti prodotti da un tubo di Geissler.

All’interno del tubo può essere presente una piccola quantità di materiale fluorescente (talvolta anche liquido) cosicché, durante il passaggio della scarica, i singoli vetri mostrano il loro caratteristico colore di fluorescenza e i tubi di colorano variamente: giallo per il vetro all’uranio, azzurro per quello al piombo, e verde per il vetro al ferro. Fra le esperienze più dilettevoli e di maggiore effetto che si possono eseguire si ricordano le rose luminose, le quali si ottengono illuminando dei tubi di Geissler e facendoli girare rapidamente nell’oscurità mentre sono illuminati (come giratubi veniva impiegato il motore di Trouvè).
Per tali effetti, questi tubi sono impiegati sia nella ricerca spettroscopica, che nella realizzazione di insegne luminose pubblicitarie. Si utilizzano a questo scopo tubi al neon, all’elio e quelli a vapore di mercurio, talvolta contenenti tracce di argon.